martedì 17 maggio 2011

I SIGNIFICATI E I COMPITI DELLA RELIGIONE - sulle vie della religione

Praga - Altare di Chiesa in stile gotico

Quando si parla di religione è facile, per noi Italiani, in larghissima maggioranza, cristiani, identificarla con quella cattolica. In realtà, ripercorrendo la storia delle religioni, ci accorgiamo che è molto più ampio il concetto di religione. Diventa complicato, altresì, spiegare il significato di religione analizzando gli studi e le opinioni che di essa hanno dato, nel corso dei secoli, filosofi, teologi, scrittori.
   L’uomo, da sempre, prima in forme primitive, poi in forme progredite, ha sentito questo rapporto col sacro e col divino, per tanti motivi: desiderio di conoscenza e di verità, bisogno di rassicurazione e di superare i suoi limiti, le sue paure; bisogno di raggiungere un “premio”, una felicità nel presente, in vita, e nel futuro, dopo la morte. La religione, con i suoi simboli, con le sue verità, con i suoi riti, ha cercato di soddisfare queste esigenze dell’uomo, essere insicuro, debole, limitato.
 Nelle diverse epoche, nelle diverse parti del mondo, tutte le religioni sono state influenzate dal contesto storico, culturale, sociale in cui sono sorte e spesso il divino è stato rappresentato e vissuto in forme antropomorfiche e antropocentriche. Il fenomeno religioso, proprio perché coinvolge l’essere umano, in tutte le sue implicazioni, diventa anche un fenomeno culturale, assume una funzione sociale, morale, una più ampia dimensione antropologica, L’uomo, in quanto tale, sente la necessità di una religione che lo guidi, lo segua, lo conforti, lo corregga. Egli, per sua natura, è uno spirito “religioso” e non finisce mai di studiare, ricercare, comprendere il senso misterioso del  divino, del magico, dell’infinito, della vita. Credente o non credente, è consapevole che  esiste qualcosa che avvolge il  senso profondo della vita, la sua origine, la sua fine.
   Al tempo dell’antica Roma, i Romani vedevano qualcosa di divino, di occulto, di fatale, di imponderabile in ogni aspetto della realtà, nei fenomeni atmosferici, nel mondo animale e vegetale, nell’agire umano.
 Molti sono stati gli uomini di cultura e di fede che hanno affrontato questo rapporto tra l’uomo e la divinità, tra uomo e religione (Epicuro, Cicerone, Freud, Bergson, Kant, Hegel, Machiavelli, Manzoni, ecc). Mi limito solo a citare qualche caso emblematico di studi approfonditi sulla religione. Iniziamo con Cicerone (105-43 a.C.) che affrontò tale questione in due opere filosofiche: De natura deorum e De divinatione. Egli, da buon cittadino romano, leale e rispettoso dei doveri verso lo Stato, accettava e giustificava la religione ufficiale, tradizionale, di Roma, pur manifestando, in cuor suo, qualche riserva; però non se la sentiva di denunciare apertamente la sua falsità. La religione pagana era utile per lo Stato perché il popolo, specialmente quello degli strati più bassi, seguendo i culti e i riti religiosi, rinsaldava i vincoli dello Stato. Cicerone invece criticava le concezioni di Epicuro (341-270 a.C.) il quale affermava che gli dei erano indifferenti alle vicende umane. Per il filosofo greco, infatti, gli dei erano lontani dal mondo, situati in un cielo lontano, l’iperuranio, e perciò non bisognava avere paura degli dei, ma neanche della morte, perché, diceva lui, quando noi siamo vivi, la morte non c’è, quando c’è la morte, noi non ci siamo più. Epicuro cercava di togliere dagli uomini quelle che erano le maggiori angosce: la paura degli dei e quella della morte per raggiungere, così, l’atarassia, la serenità, il non turbamento. Ma Cicerone criticava tutte le forme di divinazione e di superstizione che erano lontane dalla religione ufficiale, legate alla magia e all’astrologia. La critica di Cicerone verso la filosofia stoica, che vedeva in un Dio unico, provvidenziale, il motore della vita del mondo e degli uomini, si attenuava, quasi quasi non gli dispiaceva.
Ma Cicerone doveva barcamenarsi con la sua tendenza agnostica e sincretistica, da buon conservatore moderato, accettando e recependo ciò che era possibile recepire, senza rompere con le tradizioni e con i doveri verso lo Stato. 
     Qualcosa di ciceroniano lo troviamo in Machiavelli (1469-1527). Vediamo che cosa scrisse sulla religione nell’opera “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”: - Dopo Romolo, Numa Pompilio si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a voler mantenere una civiltà e la costituì in modo che per più secoli non fu tanto timore in Dio quanto in quella repubblica, il che facilitò qualunque impresa che il Senato e quelli grandi uomini romani disegnassero fare…serviva la religione a comandare gli eserciti,ad animire la Plebe e mantenere gli uomini buoni , a fare vergognare i rei… Mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate…Così fece Licurgo, così Solone”.        
   Come si può notare, la religione era, per Machiavelli, un instrumentum regni, uno strumento di governo, per rendere saldo, unito, sicuro lo Stato. Egli, anzi, elogiava la religione pagana (che invogliava all’eroismo, alla difesa dello Stato, ai valori civili) e vedeva i limiti di quella cristiana (che favoriva la rinuncia, svalutando il mondo terreno, le ambizioni, la guerra, esaltando gli oppressi, i deboli). Bisogna, però, tener presente che il Machiavelli, vissuto in un periodo di crisi per l’Italia, auspicava la sua rinascita con un progetto organico, politico e militare, che richiedeva l’impegno degli Italiani e soprattutto di un Principe, progetto a cui anche la religione poteva dare il suo contributo.
    Vediamo, ora, una riflessione sulla religione di Freud (1856-1939):
- Ritengo la religione senza dubbio importante per la parte svolta nel modellare le nostre credenze e le nostre immaginazioni. La storia delle religioni è quella dei popoli tremanti, impauriti, che hanno cercato di mettere un tetto sopra le loro teste per difendersi dalla notte, dai terrori dell’ignoto, dalla tenebra. Per questo l’uomo ha inventato Dio. Quanti Dei abbiamo adorato dall’inizio dei tempi! Centinaia? Migliaia? Tutti diversi di nome, di forma, di natura, di poteri. Certamente la religione può dirci molto sulla condizione attuale della psiche umana.-
    In breve, per Freud, la religione elimina i timori e le paure dell’uomo, della sua vita, promettendogli la felicità , una vita futura eterna, grazie a questo Dio che salva l’uomo dai suoi errori, dai suoi peccati, cosa che non può garantire la scienza con le sue teorie e i suoi risultati. Pur essendo un’illusione, la religione, dice Freud, può soddisfare i desideri reconditi dell’inconscio dell’uomo (interpretazione psicoanalitica della religione).
    E’ interessante analizzare il rapporto che ebbe con la religione un grande scrittore, fervente cattolico, Alessandro Manzoni (1785-1873), un rapporto complesso e articolato.
    Durante i suoi cinque anni di permanenza a Parigi, si lasciò influenzare dagli “ideologi” e dai moralisti francesi, in modo particolare dal movimento giansenista, che si distingueva per un certo razionalismo e rigorismo morale, onde scoprire un Cristianesimo più rigoroso e meno convenzionale. Manzoni, con la conversione al cattolicesimo, supera buona parte del razionalismo illuministico. Ma la sua fede non era legata a compromessi, tipici di un Don Abbondio, ma intransigente, più vicina e fedele al Vangelo. Egli, però, non dimenticherà mai la sua formazione illuministica per cui cercherà sempre di conciliare ragione e fede. Dice il Manzoni che le idee buone, anche quelle moderne e progressiste, si trovano già nel Vangelo, e per questo la Chiesa deve accettare la sfida con i  laici, con i razionalisti. Nelle “Osservazioni sulla morale cattolica” egli dice:
- Un’ accusa che si fa comunemente ai nostri giorni alla Religione cattolica è che ella sia in opposizione collo spirito del secolo…Lo spirito del secolo presente non è altro che il complesso di molte verità utili e generose…diventa patrimonio di tutti i popoli colti…Ora questo spirito che onora la ragione umana non è secondata dalla religione cattolica, anzi molte volte essa vi si oppone… Alcuni che onorano e difendono la Religione la pongono così in opposizione collo spirito di un secolo in punti dove questa opposizione non esiste…Quando il mondo ha riconosciuto una idea vera e magnanima, lungi dal contrapporgliela, bisogna rivendicarla al Vangelo, mostrare che essa vi si trova…Tutto bisogna intraprendere, sottoporsi a tutto piuttosto che lasciare prevalere l’opinione che la Religione sia contraria ad una verità morale, piuttosto che permettere che i figli del secolo si vantino di essere in nulla…più illuminati che gli allievi di Cristo. Come si può constatare, nel passo del Manzoni si alternano difesa e critica della religione, troppo chiusa e poco aperta all’esterno.
   Abbiamo voluto riportare solo alcune concezioni sulla religione, fra le tante, di orientamento diverso: pur con le dovute differenziazioni, in genere, sono molti i pensatori che danno un giudizio complessivamente positivo sulla religione, sulla sua validità  e utilità per il genere umano.
    Ma cos’è la religione? E’ superfluo scandagliare l’etimologia del termine: per alcuni (Cicerone) esso deriverebbe da religere o religiosus, col significato di vincolare, legare insieme; per altri (Lattanzio) esso deriverebbe da religare, col significato di raccogliere in modo ordinato. Dio e l’uomo sono legati da vincoli di fede, lealtà, devozione, pietas religiosa: curare e rinsaldare questi vincoli con la dottrina e con il culto è compito della religione. Nel mondo, però, le religioni sono tante e ognuna di esse prospetta una propria via di fede, di salvezza, di speranza; ognuna cerca di soddisfare l’innato bisogno dell’uomo di spiritualità, di sacro, di divino, di scoprire il mistero della vita. Il pluralismo e il relativismo religioso evidenziano che il sentimento religioso si può alimentare e manifestare in modo assai diverso, tra persone di fede diversa.
 In senso stretto, quando parliamo di “fede”, il suo senso è collegato alla “fede religiosa”, posseduta da chi crede in una religione. In senso lato, “aver fede” significa credere fermamente in qualcosa, in certi valori positivi  e viverli con onestà, correttezza, coerenza.
   Si può aver fede oltre che nella religione, nella famiglia, nel lavoro, nell’amicizia, in un credo politico, ecc. Gli uomini di fede hanno in comune qualcosa di universale che dà un senso alla vita, che arricchisce l’animo. Un uomo che non ha “fede” è un essere vuoto, inutile, asociale. Credenti e non credenti ugualmente “stranieri” e pellegrini sulla terra, possono, pur nella loro diversità di fede, trovare comuni percorsi di dialogo e di ricerca, per un nuovo umanesimo, per uscire da quella dimensione di solitudine che tanto ci ricorda quella del Petrarca, intento a superare la sua sofferenza interiore:
                            Solo e pensoso i più deserti campi
                            vo mesurando a passi tardi e lenti
   Fede religiosa e fede laica possono trovare comuni punti d’incontro, evitando atteggiamenti di reciproca delegittimazione, se si considera che oggi viviamo in un mondo multireligioso per cui ogni fede religiosa ha la sua dignità, una propria identità. Se poi ogni religione pensa di evangelizzare il mondo, di combattere gli infedeli, c’è il rischio di ritornare alle lontane “guerre di religione”, di un ritorno al passato. La strada maestra è quella che prevede la condivisione di valori comuni, nel rispetto delle reciproche convinzioni religiose o ideologiche. Diversamente si cade nel settarismo, nel fondamentalismo, nel fanatismo, nell’estremismo.
   La religione non può essere scambiata semplicisticamente per un fatto culturale o morale o politico: la prospettiva fondamentale delle “Chiese” deve essere quella spirituale, anche se è evidente che in ogni progetto religioso, essendo l’uomo un essere sociale, si inseriscono fattori temporali, etici, socio-politici. E’ importante che la Chiesa persegua il suo compito primario, nella sua autonomia, senza scantonare in altri campi d’azione, col rischio di perdere prestigio e autorevolezza, come, purtroppo, la storia ci insegna, per determinati periodi storici e per certe situazioni contemporanee.

domenica 15 maggio 2011

SULLE VIE DELLA RELIGIONE, Riflessioni “filosofiche” sparse sul sacro e sul profano

Biancavilla - Il campanile della Chiesa Madre

Scribo, ergo sum: parafrasando, tra il serio e il faceto, il celebre motto del filosofo Cartesio, possiamo dire che la scrittura, per chi scrive, è un modo per affermare la propria presenza, il proprio essere concreto, le proprie idee. Se verba volant, e vogliamo che esse, scritte, rimangano (scripta manent), devono essere fissate, diventare, talora, pietre (ci viene in aiuto Carlo Levi) per favorire la conoscenza, il confronto, il dialogo (civile, anche quando aspro). Scrittura, dunque, come testimonianza, come memoria, come confessione, come sfogo, ma anche come terapia dell’animo.
   La sperimentò nel capolavoro di Italo Svevo (1861-1928), La coscienza di Zeno, il protagonista  Zeno Cosini, costretto dal suo medico a scrivere, a scopo terapeutico, una specie di diario personale e a scavare nel suo subconscio. I risultati finali non furono esaltanti, ma quella scrittura ebbe una qualche utilità perché è servita a smascherare le contraddizioni interiori di un uomo inetto e quelle di una società malata.
    Tra le diverse tipologie di scrittura abbiamo preferito la prosa argomentativa, filosofica, ciceroniana, la più adatta a svolgere, con un linguaggio essenziale, volutamente piano, semplice, antiretorico, tutta una serie di ragionamenti, pensieri, riflessioni, discorsi, divagazioni. Questi ultimi termini sembrano dei sinonimi, ma ognuno di essi racchiude in sé una specifica connotazione semantica ed offre lo spunto, ciascuno col proprio significato, per chiarire il senso di questo piccolo saggio.
 Un’opera apparentemente disorganica, dalla struttura labirintica, multiforme, quasi lo specchio della nostra natura umana, volubile, instabile, precaria. Un essere che, tuttavia, tende sempre a superare i suoi limiti, le sue paure, le sue ansie, con risultati imprevedibili, non scontati. La presente è una ricerca aperta, un viaggio della mente che si perde tra divagazioni (dal latino divagor, vagare qua e là) e discorsi (dal latino discurro, correre qua e là.). Divagazioni e discorsi che si nutrono di riflessioni , considerazioni, dissertazioni: termini che ci conducono all’idea del discutere, del disputare, del riflettere, dell’osservare attentamente.
   Se mi è lecito paragonare le piccole cose alle grandi (si parva licet componere magnis), come disse Virgilio, il presente saggio non è altro che un libellum, un libricino di fragmenta rerum vulgarium riprendendo concetti rispettivamente di Catullo e di Petrarca.
    A prescindere  da queste reminescenze letterarie, che emergono con forza dalla memoria e da un profondo amore per i classici, questo piccolo saggio non nasce da ambizioni di tipo letterario, ma vuole essere un modo, uno strumento per sistemare e fissare opinioni , stati d’animo, convinzioni che si sono consolidati nel corso di tanti anni. E’ una specie di confessione agostiniana, però aperta, continua, non chiusa. Il campo di riflessione è quello etico-religioso su cui, via via, si innestano motivi sociali, politici, culturali.  
Sono tanti i quesiti e gli interrogativi che hanno suscitato la nostra curiosità, il nostro interesse, il nostro bisogno di indagine, soprattutto riguardo al rapporto tra fede e ragione, tra laico e cattolico, tra sacro e profano, tra una religione e l’altra, tra Bibbia e Corano, tra umanità e religiosità. Cercheremo di dare una sistemazione, quanto più è possibile, coerente e logica , seppure soggettiva ed opinabile, del significato di queste coppie di termini, sul piano sincronico e su quello diacronico.
   Tutto ciò per chiarire a noi stessi dubbi, concetti, misteri che, da tempo, sin dai banchi liceali, ci assillano, ma anche per cercare una forma di apertura, di dialogo, di confronto con  gli altri.
   Il saggio non è ideologico, non è contro nessuno, rifugge dalla contrapposizione e dalla polemica strumentale, è solo un campo di riflessione, di analisi, di opinioni talora molto personali e discutibili. E’ il rischio della dialettica e del libero arbitrio quando si affrontano problematiche complesse.
   Sulle vie della religione: perché un titolo così? Perché vogliamo ripercorrere, rivisitare, approfondire le vie che le religioni , così come storicamente si sono evolute, hanno intrapreso, per giungere al sacro, al divino. Sono state e sono tante le strade che l’uomo ha sperimentato per giungere a Dio, per cercare di dare risposte ai misteri della vita. La questione è aperta.
      L’uomo è sempre in viaggio, dalla nascita alla morte, sperando che Godot, un giorno, appaia e finisca l’attesa. La fede e la ragione possono far sì che si compia la tanto desiderata epifania,la rivelazione di tante verità, di tante scoperte a cui l’uomo aspira e per le quali il percorso da fare appare ancora lungo, pur sapendo che il progresso dell’uomo, in quanto tale, non conosce freni o limiti di sorta.
   Approfondiremo il complesso mondo della religione con semplici ragionamenti filosofici sparsi, nel senso che non costituiscono un sistema filosofico organico e che, per certi versi, ci riportano ad alcune opere del Leopardi (Operette morali, Zibaldone), prose di argomento filosofico. Il termine filosofia non sempre va riportato ad una attività intellettiva spesso astratta, puramente teorica, fine a se stessa , ma al suo significato originario, per cui è filosofo chi è innamorato della sapienza, chi ama ricercare, conoscere (certo con maggiore approfondimento, con maggiore sistematicità, rispetto, per esempio, ad una ricerca scolastica) la realtà delle cose e degli uomini, studiando cause ed effetti, facendo relazioni, avendo un obiettivo progettuale. La verità è più importante della filosofia, come avrebbe detto lo stesso Aristotele: Amicus Plato, sed magis amica veritas.
    L’uomo si interroga, oggi come ieri, è sempre alla ricerca di se stesso, della sua identità, dei suoi bisogni materiali e spirituali.
    Ma basta il motto conosci te stesso, famosa epigrafe messa dai Sette Saggi greci nel tempio di Delfi? Importante, ma non basta più nel tempo della globalizzazione e della multimedialità. L’uomo, un microcosmo, non è più al centro dell’universo, sono lontani i tempi del Rinascimento. La grande diffusione di Internet  e del telefonino, ha paradossalmente  aumentato la sua solitudine e il suo isolamento. Quando sembrava di aver abbracciato il mondo, di essere in possesso di tutte le conoscenze possibili, l’essere umano scopre la sua fragilità, la sua precarietà, la sua limitatezza. Ritornano le paure ancestrali, il bisogno di fede e di sacro, ma anche varie forme di fanatismo  e fondamentalismo religioso, mentre sopravvivono ancora antiche credenze popolari.
   Proviamo ad addentrarci nel vasto mondo della religione per coglierne però solo alcuni aspetti significativi, quelli più suggestivi e problematici, quelli che più colpiscono l’immaginario collettivo e la nostra curiosità. Le nostre riflessioni, come dice il sottotitolo del presente saggio, investono il sacro e il profano, un binomio di termini che, sul piano semantico, offrono aspetti di ambivalenza. Sul concetto di sacro sono molti i pensatori (E. Durkeim, R. Girard, R. Otto, M. Elide, K. Barth) che hanno concentrato i loro studi, ripercorrendo la storia delle religioni e delle varie culture (significativa quella romana). Certo è importante partire dal significato che sacro e profano hanno assunto sul piano etimologico, per una lunga e consolidata (direi tradizionale) interpretazione. Anche per noi, per sacro si intende tutto ciò che appartiene e si riferisce alla divinità, alla religione, al culto, mentre profano (che dal latino “pro-fanum” significa davanti o fuori dal tempio) denota tutto ciò che non appartiene alla sfera religiosa e spirituale ma a quella terrena, mondana, secolare.
Accomunare sacro e profano è, perciò, come accostare il diavolo all’ acqua santa. Però con il passare del tempo questi due termini, partendo dal loro significato originario, hanno subito modificazioni per cui non sempre sacro e profano si contrappongono anzi sono complementari, talora, nel dare una risposta alla ricerca spirituale   dell’ uomo ( come vedremo ampiamente più avanti).
   Seguendo un’antica ed ininterrotta tradizione letteraria, vorrei dedicare, quasi in segno di sincera riconoscenza, questo modesto mio lavoro (forse una delle poche cose che posso offrire) a tutte le persone a me care e che mi hanno dimostrato, in vario modo e in tempi diversi, affetto, sostegno e gratitudine.
A quanti sono innamorati del sapere, della ricerca, del confronto, a quanti piace la lettura dei libri, è rivolto, in modo particolare, questo saggio critico: spero di non abusare della loro pazienza, fiducioso nella loro benevolenza.